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Secondo i dati forniti dal Ministero, dei circa 870 mila tra posti comuni e di sostegno istituiti per questo anno scolastico, 217.693 sono stati assegnati tramite contratti a tempo determinato (in maggioranza al 30 giugno), più del doppio rispetto all’a.s. 2015-2016: il 25% del personale – un insegnante su quattro – senza contare le supplenze brevi.
Per il personale ATA la quota di precariato quest’anno si attesta al 20%, il doppio rispetto al 2016-2017.
Le procedure concorsuali negli ultimi tre anni si sono rivelate un’autentica perdita di tempo, risorse e energie. A fronte di un contingente di 94.130 posti autorizzati, le diverse procedure non sono riuscite a coprirne nemmeno la metà.
Per i posti di sostegno le cattedre messe a concorso erano maggiori dei candidati in possesso dei requisiti. Delle migliaia di docenti che avevano maturato anni di servizio non si è tenuto minimamente conto.
La legge 79/2022 dell’ex ministro Bianchi prevede l’abilitazione all’insegnamento, ma senza garanzia di stabilizzazione, dividendo il precariato in abilitati e non abilitati, e riproponendo un conflitto tra docenti che hanno titoli e percorsi diversi.
Occorre una riforma che, considerando il precariato come un fenomeno strutturale alla scuola, riconosca il diritto all’assunzione per chi ha lavorato a scuola almeno tre anni.
Non possiamo permettere che il doppio canale venga cancellato con l’esaurimento delle GAE, ma invece dobbiamo valorizzare lo scopo principale per cui era stato istituito con la legge 417/1989: riconoscere il servizio come requisito per l’immissione in ruolo, data l’impossibilità del nostro sistema di fare a meno dei precari.
Chiediamo che il Governo agisca immediatamente su questi obiettivi:
• Ridurre il numero degli alunni per classe;
• Ampliare il numero di posti utili per le assunzioni a tempo indeterminato, eliminando la distinzione tra organico di diritto e organico di fatto;
• Impedire lo sfruttamento a oltranza dei supplenti, ribadendo il diritto all’assunzione a tempo indeterminato per tutti coloro che abbiano raggiunto tre anni scolastici di servizio come previsto dalla Direttiva Europea 70/1999, applicata ovunque in UE e recepita in Italia con il Decreto 368 /2001, ma poi sistematicamente ignorata nella scuola;
• Creare una graduatoria in cui inserire chi ha insegnato i tre anni di servizio, ribadendo le ragioni che portarono alla legge 417/1989, ossia il riconoscimento dell’esperienza lavorativa come requisito per l’immissione in ruolo.