Gentili Dirigenti,
ritorniamo sulla situazione nella quale ci ritroviamo dal 6 di marzo, da quando, per decreto del Governo, le attività didattiche sono state sospese. E dopo qualche tempo, le scuole sono state praticamente chiuse. Ciò significa che non si può più fare scuola nel senso autentico e “normale” del termine. Mancano le norme che regolamentino le attività dei docenti, i loro obblighi, i limiti di questi obblighi, i loro diritti, i limiti di questi diritti. Né vi sono norme che ridefiniscano gli obblighi degli studenti.
L’8 aprile 2020 è stato emanato un Decreto concernente misure urgenti sulla scuola, che, senza affrontare la molteplicità delle situazioni e dei problemi che sono emersi in questo periodo, si limita, all’articolo 2, comma 3, a introdurre in modo molto generico l’attività didattica distanza come attività delle scuole.
3. In corrispondenza della sospensione delle attività didattiche in presenza a seguito dell’emergenza epidemiologica, il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione. Le prestazioni lavorative e gli adempimenti connessi dei dirigenti scolastici nonché del personale scolastico, come determinati dal quadro contrattuale e normativo vigente, fermo restando quanto stabilito al primo periodo e all’articolo 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, possono svolgersi nelle modalità del lavoro agile anche attraverso apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici, per contenere ogni diffusione del contagio.
La norma è generica e densa di ambiguità interpretative, come è già stato ampiamente notato.
In primo luogo si parla della didattica a distanza in un articolo che riguarda le Misure urgenti per l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2020/2021: come a significare che l’attività didattica a distanza non può influire direttamente nelle valutazioni di fine anno scolastico, stante che viene assicurata la promozione a tutti gli allievi e le allieve, ma a preparare le condizioni per una ripresa dell’attività didattica (quella vera, in presenza) a settembre del prossimo anno.
In secondo luogo l’espressione usata “il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza”, è un capolavoro di funambolismo giuridico. Non si dice che il personale docente ha l’obbligo di svolgere attività didattica a distanza, perché con la privatizzazione dei rapporti di lavoro nel pubblico impiego gli obblighi di lavoro non possono più essere imposti per legge, ma solo per via contrattuale. In mancanza di nuove norme contrattuali che prevedano quest’obbligo, la didattica a distanza non può essere imposta. E si deve riconoscere che tutto quello che si sta facendo nelle scuole lo si sta facendo per la libera adesione del personale.La stessa ministra ha pubblicamente espresso riconoscenza verso il personale docente che, andando ben oltre gli obblighi contrattuali, sta svolgendo quanto in suo potere per mantenere la relazione con gli allievi e le allieve.
Ricordiamo che al personale docente è stato impedito per disposizione di legge di svolgere la attività che contrattualmente prevista (segnatamente dagli articoli 27-28-29 del CCNL del 29.11.2007 e dall’art. 28 del CCNL del 19.04.2018). E in nessuna norma è previsto che il personale docente debba possedere un cellulare o un computer; che debba avere la reperibilità telefonica al di fuori dell’orario di servizio. La norma sopra citata del Decreto dell’8 aprile dice che le attività a distanza possono essere svolte, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione, non specificando però se a disposizione delle scuole o dei singoli docenti. E noi sappiamo che se non fossimo noi docenti a usare i nostri computer o cellulari, il sistema andrebbe in corto circuito. Siamo noi docenti con i nostri mezzi privati che stiamo tenendo in piedi il sistema pubblico di istruzione. Ma non tutte/i abbiamo strumenti adeguati. Né abbiamo la stessa dimestichezza con gli strumenti informatici. Ci sono molte persone che non si adattano a questo “nuovo ambiente lavorativo e comunicativo”. E questo disagio non può essere confuso con negligenza, o disinteresse.
La didattica a distanza, comunque la si intenda e la si attui, richiede un aggravio di lavoro notevole, un impegno che va ben oltre l’attività didattica normale. E sta producendo uno stress che sembra sfuggire totalmente ad alcune/i dirigenti, Sulla base della testimonianza di centinaia e forse migliaia di docenti con cui siamo in comunicazione, possiamo asserire che molte/i docenti stanno lavorando molto di più, senza limiti orari, e con uno stress aggiuntivo notevole, per le ore passate davanti al computer. Ma per alcuni/e si aggiunge lo stress aggiuntivo delle continue richieste e disposizioni emanate settimanalmente, richieste aggiuntive che aumentano artificiosamente l’impegno gravoso che il personale insegnante sta sostenendo.
Soprattutto dopo l’emanazione del Decreto dell’8 aprile si è prodotta in molte scuole una serie di disposizioni impositive sulla base della erronea convinzione che il personale docente abbia l’obbligo di svolgere attività didattica a distanza e di rispettare un orario di lavoro. E molti dirigenti stanno cercando di dare a queste attività un’organizzazione burocratica con l’imposizione di orari di lavoro che è totalmente estranea al lavoro a distanza. Se la didattica a distanza è assimilabile al lavoro agile, come si evince anche dal passo citato del decreto dell’8 aprile, non può essere ricondotta a orari fissi, come invece si sta cercando di imporre in alcune scuole. E che questa sia l’unica interpretazione possibile è provato proprio dal fatto che le scuole si muovono ognuna con modalità diverse. In alcune scuole si prevedono tre ore di attività, in altre scuole addirittura cinque ore (il che appare sovrumano), in altre un numero indeterminato, in altre ancora si lascia la possibilità di interagire liberamente con le classi sulla base di un coordinamento interno. Ne risulta che le pretese di alcuni/e dirigenti di imporre autocraticamente una regolamentazione rigida e coattiva delle attività a distanza siano del tutto prive di fondamento giuridico.
In mancanza di nuove norme contrattuali, non si possono imporre ordini di servizio che richiedano di firmare il registro elettronico, né di rilevare presenze e assenze, né di mettere voti.
Non si può imporre la firma, perché la firma sul registro attesta la presenza a scuola. Apporre una firma sul registro elettronico di per sé non certifica mai la presenza, ma in una situazione in cui le attività didattiche sono sospese, firmare un registro elettronico appare privo di senso e può costituire un falso ideologico. D’altronde, se fosse legittimo e sensato richiedere la firma, tutte le scuole dove il personale docente non firma sarebbero nella illegittimità. E il Direttore Scolastico regionale, che dovrebbe avere una conoscenza dei fatti più dettagliata e precisa della nostra, dovrebbe aprire procedimenti disciplinari nei confronti dei dirigenti “permissivi” o “lassisti”.
In alcune scuole è apparso legittimo convocare gli organi collegiali e permettere le delibere. In altre scuole non appare legittimo. In altre ancora sono stati convocati gli organi collegiali in modo “informale”, riconoscendo l’impossibilità di arrivare a delibere. La questione potrebbe essere oggetto di intervento normativo, ma allo stato attuale, non vi sono norme che regolamentino la convocazione degli organi collegiali a distanza, che finora sono un’invenzione creativa priva di fondamento giuridico. Né si può giustificare in nome della sacra autonomia l’imposizione di attività che travalicano i limiti del nostro contratto di lavoro.
In assenza di norme specifiche in materia, non si possono registrare presenze e assenze, né mettere voti in modo valido. E di questo orientamento sono anche molte/i dirigenti. Non si capisce perché alcune/i dirigenti vogliano imporre disposizioni in materie nelle quali lo stesso governo si è astenuto dal disporre norme precise.
In alcune scuole si richiede ai docenti la compilazione (a volte anche settimanale) di una scheda di rilevazione della presenza e dell’assenza degli studenti, del loro grado di partecipazione e dei risultati. Tutte queste disposizioni appaiono irricevibili e assolutamente dannose, perché aggravano la situazione di stress lavoro-correlato. Ricordiamo che chi dirige le scuole per legge deve tutelare la salute dei dipendenti. E pare che questo principio elementare non sia nella mente di alcuni dirigenti.
La cosiddetta “didattica a distanza” non può essere paragonata alla didattica. Ha dei limiti oggettivamente insuperabili.
Non tutti/e gli alunni hanno i mezzi tecnologici per poter seguire. Il problema, sollevato prima dal corpo docente che dalle stesse famiglie, è arrivato al Ministero che ha deciso di stanziare dei fondi appositi per l’acquisto di strumenti da dare alle famiglie in comodato d’uso. Ma non è risolto affatto.
La cosiddetta didattica a distanza non ha minimamente lo stesso impatto e la stessa efficacia dalla scuola dell’infanzia all’università allo stesso modo. Un bambino o una bambina di sei anni non può stare al computer per ore e ore, e non ha nemmeno senso educativo che lo faccia: dovrebbe imparare a muoversi, giocare, leggere, scrivere, disegnare, cantare … Non a caso molte/i docenti, soprattutto della scuola dell’infanzia e della primaria, hanno una fondata diffidenza verso queste attività, rilevando la difficoltà di avere risultati educativi al di fuori dell’attività in presenza.
La didattica con studenti in condizioni di disabilità grave ha limiti invalicabili. Molte/i docenti di sostegno stanno sostenendo le famiglie, ma non possono svolgere il loro compito precipuo, ossia favorire un’attività di integrazione.
La didattica a distanza non può essere imposta agli studenti. Le famiglie hanno sottoscritto con le scuole un patto formativo nel quale si impegnano al rispetto delle regole scolastiche, a seguire le attività didattiche sotto la guida dei docenti, ma nessuna può aver mai sottoscritto l’impegno a mettersi nelle condizioni di seguire le lezioni online, il che richiede il possesso della strumentazione necessaria e di una connessione internet, nonché spazi familiari adeguati e un ambiente consono alla connessione. In regime di sospensione delle attività didattiche, non risulta che gli alunni abbiano gli stessi obblighi di diligenza che devono avere quando frequentano la scuola. Non vi è l’obbligo per allievi e famiglie di rispondere alle comunicazioni dei docenti. Questo obbligo presupporrebbe che vi fosse l’obbligo di reperibilità degli studenti e, in casi di minori, delle loro famiglie, obbligo che evidentemente non sussiste. Tanto più vale questa notazione per le situazioni nelle quali l’impegno degli allievi richiede quello contestuale delle famiglie. Spesso non si ha nemmeno riscontro che un alunno/o riceva il messaggio della scuola; né si sa se abbia gli strumenti tecnici per rispondere. E indagare in questo campo potrebbe rappresentare un rischio per la privacy. Perciò la mancata risposta di un alunno/a alle comunicazioni inviate dalla suola non può essere sanzionata in nessun modo.
In mancanza di un patto formativo specifico, non si può imporre coattivamente un orario delle attività a distanza che impegni le famiglie (perché nella scuola dell’obbligo senza le famiglie nessuna didattica a distanza è possibile).
Le famiglie hanno denunciato in più circostanze la violazione della privacy perché la didattica a distanza entra in modo invasivo nelle case. Anche l’uso del cellulare, per esempio di canali come Whatsapp o Instagram, può rappresentare una violazione delle norme sulla privacy, nella perfetta buona fede di un insegnante, che sta semplicemente cercando di mettersi in relazione con gli alunni e le alunne.
La didattica a distanza richiede anche alle famiglie un impegno aggiuntivo e uno stress non indifferente. La maggior parte di loro si è trovata a dover gestire anche il tempo della scuola, ma non è in grado di seguire i figli nelle attività scolastiche per tante ore al giorno tutti i giorni. E chi ha più figli, spesso vive situazioni oltre il limite di ciò che è possibile. Lo stress è maggiore per i genitori soli, e per quelli che sono impegnati con il tele-lavoro contestualmente ai figli.
Insomma, anche dal punto di vista degli allievi e delle famiglie, mancano i requisiti minimi perché la cosiddetta didattica a distanza possa essere assimilata in qualsiasi modo alla didattica.
Ciò premesso, riteniamo che in questa situazione di emergenza il personale docente stia già facendo ciò che si può fare, valutando ciò responsabilmente ciò che è possibile e opportuno fare in ciascuna situazione, e che non debba essere continuamente riportato ai propri doveri, come si sta facendo, soprattutto dall’8 aprile.
Chiediamo a chi dirige le scuole di astenersi dal dare disposizioni prive di un fondamento normativo, e in particolare dall’imporre al personale docente l’utilizzo di forme specifiche ed obbligatorie di didattica a distanza, strumento che deve essere lasciato alla valutazione dei/lle singoli/e docenti, nel rispetto della libertà di insegnamento, prendendo atto che in una situazione di emergenza ogni tentativo di imporre autocraticamente un ordine formale che uniformi le attività didattiche produce solo danni, crea stress aggiuntivo al personale docente, e spesso anche alla vita delle famiglie, già particolarmente provata dalla situazione di clausura forzata.
Cagliari, 21 aprile 2020 Esecutivo Cobas Cagliari